La pandemia è diventata un acceleratore del lavoro agile. Perché non approfittare di questa opportunità? Questo è un elenco dei corsi che ho elaborato più di recente, se ce n’è qualcuno che è di tuo interesse segnalamelo. Io poi mi metterò in contatto con te per inviarti approfondimenti e per definire i dettagli, inclusa la possibilità di personalizzarlo secondo le tue esigenze o quelle della tua organizzazione.
Per tutti i corsi è possibile ottenere gli attestati di partecipazione come aggiornamento per CSP/CSE, RSPP, formatore, secondo gli Accordi Stato Regioni, come Formatore Qualificato Locale AIAS.
Quando la Direttiva cantieri è stata introdotta in Italia, ci si è dimenticati di dare attuazione al suo sesto considerando, che osserva che le scelte progettuali o una carente pianificazione dei lavori sono la causa di più del 50% degli infortuni sul lavoro nei cantieri in Europa.
Durante l’esecuzione dei lavori è normale che gruppi differenti di lavoratori, appaltatori e subappaltatori impiegati per attività specializzate, eseguano le rispettive attività in condizioni di prossimità o promiscuità tra di loro. Questa condizione può causare incidenti e infortuni: l’identificazione dei pericoli introdotti nell’ambiente di lavoro da ogni gruppo o subappaltatore, e la valutazione delle relative interferenze, è lo strumento per identificare le azioni necessarie per mitigare questi rischi.
A livello organizzativo, la direzione del cantiere deve definire la progettazione costruttiva e la conseguente pianificazione delle attività lavorative e deve identificare, con il supporto dello specialista della sicurezza, qualsiasi situazione in cui è possibile che operazioni simultanee introducano rischi da interferenze nelle aree di lavoro; questi devono essere poi identificati per definire le appropriate strategie di mitigazione. Nella loro scelta è necessario riferirsi alle misure generali di tutela e ai principi della sicurezza incorporata nel progetto (safety by design): il concetto di applicare metodi per minimizzare i pericoli in fase progettuale. Nel caso le interferenze riguardino attività svolte da subappaltatori, allora sarà il caso di prevedere, nel processo di formalizzazione dell’accordo contrattuale, la preparazione, lo scambio e la condivisione della documentazione tecnica che possa supportare la valutazione dei rischi, quando è necessario. Questi possono essere, ad esempio, piani operativi di sicurezza, programmi dei lavori, ma anche schede di sicurezza dei materiali utilizzati e manipolati, assieme a informazioni su come saranno utilizzati, informazioni relative ad attrezzature e macchine.
Leggi l’articolo sul numero 6/2020 di Igiene & Sicurezza del Lavoro.
Si è detto che il Protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del COVID–19 nei cantieri del 24 marzo 2020, reso efficace dai diversi DPCM è di difficile interpretazione prima e applicazione poi.
Alcune prescrizioni che riguardano la gestione economica della commessa, se possono essere considerate valide in un progetto in cui il committente è un soggetto privato, sono di difficile applicazione là dove sia applicato il Codice dei Contratti Pubblici, per il motivo che questo prevede che la questione economica di un progetto sia gestita secondo alcune regole, che sembrano essere sconosciute al compilatore del Protocollo condiviso…. Ci sono poi tante altre indicazioni, legate alla gestione concreta degli aspetti di sicurezza dei lavoratori, che non sembrano tenere in conto dei ruoli, delle responsabilità e delle competenze previste sistema della prevenzione istituito dal Decreto Legislativo 81/2008, il Testo Unico su Salute e Sicurezza sul lavoro.
I near-miss sono l’araba fenice del mondo HSE: che ci siano ciascun lo dice, dove siano nessun lo sa. Il Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro non li definisce, così come lo standard ISO 45001 Sistemi di gestione per la salute e la sicurezza sul lavoro. Il vecchio standard BS OHSAS 18001:2007 li definiva, come approfondimento del termine incident, incidente, come quell’incidente che non ha avuto come conseguenze ferite, malattie professionali o perdite, indicando come sinonimi le parole near-hit (quasi colpito), close call (traducibile come scampata bella) o dangerous occurrence (situazione pericolosa). La piattaforma Online Browsing Platform OBP dell’ISO, sulla quale ricercare i termini delle norme e degli standard, riporta 62 ricorrenze del termine near-miss negli standard e due definizioni, tutte e due però in ambiti molto lontani dal mondo HSE e perciò inutili. Il manuale HSE245 Investigating accidents and incidents, pubblicato dall’Health and Safety Executive britannico, l’organizzazione governativa a supporto delle buone pratiche HSE, definisce i near-miss come quegli eventi che, mentre non causano danni, hanno la potenzialità di provocare ferite o malattie professionali.
Per una corretta gestione delle responsabilità in capo al coordinatore per l’esecuzione, sarebbe bene che egli avesse a che fare in cantiere con un piano di sicurezza e coordinamento redatto rispettando rigidamente i criteri normativi, perché la responsabilità principale del CSE è verificare l’applicazione del piano. Se il piano è inadeguato, se – a parere del CSE – non prende in considerazione situazioni particolari, questi deve parlarne con il committente o il responsabile dei lavori, per trovare una soluzione condivisa. Allo stesso modo sarebbe opportuno che il coordinatore per l’esecuzione, nella sua operatività si attenesse strettamente al controllo delle prescrizioni del piano ed al comportamento previsto dalla norma. Esorbitare dal proprio ruolo, richiedere alle imprese prestazioni e documentazione non prevista né dal PSC né dalla norma non è un comportamento professionale, e la maggior parte delle volte diventa controproducente sotto il profilo dell’attribuzione delle responsabilità in caso di incidente: fare il mestiere di qualcun altro perché non si riesce a fare il proprio non è mai una politica produttiva.
La comunicazione è un fattore essenziale per la gestione della sicurezza nei cantieri edili. La comunicazione, infatti, informa e aumenta la consapevolezza degli obiettivi della sicurezza a tutti i livelli gerarchici dell’organizzazione, inclusi gli appaltatori, i subappaltatori e i fornitori. La comunicazione ha come obiettivo rendere consapevoli i lavoratori e i tecnici dei pericoli degli obblighi da rispettare, delle regole da seguire e delle attrezzature che debbono (o non possono) essere utilizzate in cantiere. Si fa comunicazione quando si forniscono le istruzioni per svolgere i lavori e attività particolari.
La comunicazione può essere declinata in modi differenti. Può essere formale, quando il messaggio procede attraverso canali prestabiliti che possono essere i segnali di sicurezza, il contenuto di corsi di formazione, i rapporti di verifica e di sopralluogo, il contenuto dei verbali di incontri e riunioni. Poi c’è la comunicazione informale, che viene trasmessa attraverso i comportamenti e gli atteggiamenti delle persone. Le attività di supervisione e di sorveglianza, poi, vengono comunicate con la registrazione dei controlli, dei toolbox talks e di altre attività del genere e mediante la registrazione delle ispezioni e dei controlli.
Leggi l’articolo sul numero 12/2019 di Igiene & Sicurezza del Lavoro.
Nei giorni scorsi su Linkedin è sorto un dibattito attorno una sentenza della Corte di Cassazione, cui è stata attribuita la decisione di considerare il verbale del coordinamento della sicurezza in cantiere come “automatico aggiornamento del piano di sicurezza e coordinamento”, immagino secondo le previsioni del D.Lgs. 81/2008, articolo 92 c. 1 lettera b), in cui si fa obbligo al Coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, di adeguare “il piano di sicurezza e di coordinamento (…) in relazione all’evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute”.
Aggiornare o adeguare?
Devo dire che il fatto che si possa aggiornare o adeguare un PSC con un verbale di coordinamento non mi fa particolare impressione; che questo sia automatico o manuale è una condizione che credo abbia poco a che vedere, sia con gli obiettivi che la norma si pone, sia con gli strumenti che predispone a questo scopo. Ho sempre pensato che la frase di rito “questo verbale di coordinamento costituisce aggiornamento del Piano di Sicurezza e Coordinamento” non abbia alcuna effettiva funzione, se non quella apotropaica, di allontanare gli spiriti del male, nei quali comunque non credo. Sono sicuro non modifichi di un ette la sostanza del contenuto dell’azione descritta del verbale. Credo piuttosto che la norma separi l’attività di coordinamento (D.Lgs. 81/2008, art. 92 c. lett. c) da quella di adeguamento (idem, ma lettera b), e che sia importante mantenerle separate, sia nell’interesse degli obiettivi – la prevenzione degli infortuni – che degli operatori, il CSE in primis, che devono essere in grado di dimostrare che il loro comportamento è stato aderente agli obblighi di legge. Tutta la questione sembra stare in una domanda: quando è necessario adeguare o, meglio, aggiornare un Piano di Sicurezza e Coordinamento? Come tutti i piani, la risposta è il meno possibile: un piano nasce per pianificare gli eventi, e sono questi a doversi adattare ad esso e non viceversa. La necessità di sottoporre un piano a ripetuti adeguamenti è una cosa molto negativa, che deve fare sorgere il dubbio che siano necessari interventi più forti. Delle due l’una, infatti: o il piano è sbagliato, o gli esecutori non sono all’altezza.
Sì, ma, dice: “lavori hanno sempre uno svolgimento che non è mai esattamente quello progettato sia per quel che riguarda la cronologia dei lavori, con evidenti riflessi sulle interferenze, sia per le varianti anche minime in corso d’opera”. Già l’utilizzo dell’avverbio sempre è indicatore di una deviazione, che magari ha la sua origine in fattori che sono al di fuori dei lavori stessi, come ad esempio la professionalità dei soggetti coinvolti. Per quanto riguarda le varianti minime invece, i tecnici hanno impiegato più di vent’anni a convincere la magistratura che la sorveglianza del CSE è “alta”; questo significa che le varianti minime non dovrebbero avere impatto sulle previsioni del PSC. Aquila non captat muscas: le aquile non catturano le mosche; una riflessione molto spesso dimenticata dai coordinatori, che comunque sembra continuino ad ostinarsi in quello che in milanese moderno si dice micromanaging, quell’attitudine ad occuparsi degli aspetti minuti delle attività (il rischio specifico), che porta inesorabilmente a tralasciare la vista d’insieme, il coordinamento, che è invece il loro mestiere. Veniamo nel dettaglio: un adeguamento del piano consiste nella modifica delle previsioni che originariamente esso conteneva. Il PSC è discretizzabile in tre parti: i rischi ed i loro controlli relativi alle situazioni che l’appaltatore può incontrare nell’area di lavoro, le modalità di organizzazione dell’area medesima, la valutazione dei rischi e i relativi controlli in relazione alla programmazione dei lavori e alle interferenze tra le lavorazioni. Il piano – dice la norma – contiene le “prescrizioni correlate alla complessità dell’opera da realizzare ed alle eventuali fasi critiche del processo di costruzione”. Quindi si tratta di prescrizioni, e non consigli, che devono essere correlate alla complessità dell’opera da realizzare, ovvero individuate secondo un principio di economia. Questo significa che devono essere motivate da effettive criticità e non gratuite: quando ci vogliono, se ci vogliono. Le scelte progettuali ed organizzative, dice sempre la norma, il D.Lgs. 81/2008 all. XV.2.1.1, devono essere conformi ai principi generali di tutela, quel procedimento logico per l’analisi dei rischi e la definizione dei controlli, che prevede che il rischio se possibile vada evitato e, se ciò non è possibile, gestito attraverso la sua riduzione, la predisposizione di barriere fisiche, di procedure o l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale, secondo una scala di priorità che predilige le misure più efficaci.
Quando e cosa adeguare?
Quando e quali possono essere le condizioni che possono venire a modificarsi, “in relazione all’evoluzione dei lavori”? Le prime due parti del PSC, quella in relazione ai rischi presente nelle aree di lavoro e alle modalità di organizzazione della stessa, sono normalmente condizioni statiche, solo in alcuni casi (la seconda) a volte soggette a modificarsi con l’andamento dei lavori, per cui è verosimile pensare che gli unici “adeguamenti” che possono risultare necessari sono quelli dovuti ad errori od omissioni del CSP o a situazioni “impreviste e imprevedibili”. Siccome i costi degli apprestamenti previsti nel PSC vanno poi riconosciuti negli oneri della sicurezza, e noi avremo inclusi solo quelli necessari e non anche ciò che è solo consigliabile, è ragionevole pensare che un adeguamento possa portare alla necessità di riconoscere nuovi e/o diversi apprestamenti ed è quindi necessario passare attraverso una perizia di variante. Se invece è l’affidatario, che intende strutturare differentemente l’organizzazione del cantiere o variare la qualità degli apprestamenti, questi non è autorizzato a procedere unilateralmente e non è il CSE il soggetto obbligato a “adeguare” il PSC di conseguenza. La norma, il D.Lgs. 81/2008 all’articolo 100 c. 5 prevede che l’affidatario sia vincolato al rispetto del PSC fino a che il CSE non abbia approvato una proposta di integrazione a questo, che l’impresa deve sottoporgli. Il CSE è autorizzato – si badi bene, non obbligato – ad approvarla quando questa meglio garantisca la sicurezza nel cantiere! Sarà il caso, quindi, che l’affidatario integri la sua proposta con una relazione in cui dimostri questo risultato, in maniera da facilitare la scelta del CSE.Le cose si complicano quando si ragiona sulla terza parte del PSC, quella della valutazione dei rischi e dei relativi controlli in relazione alla programmazione dei lavori e alle interferenze tra le lavorazioni. Questa è l’area dove effettivamente è più facile che si verifichino scostamenti tra quanto pianificato e quanto si va ad eseguire in effetti. Qui, di solito, ci si trova a lavorare in condizioni peggiori. Il problema principale è il ritardo, i tempi si comprimono e le interferenze aumentano. La chiave dell’azione del CSE però deve essere quella di identificare prioritariamente quali sono le cause per cui capitano le deviazioni, perché da questo dipende come queste dovranno essere trattate. Se le eventuali modifiche avvenute, come dice sempre l’art. 92 c. 1 lett. b), dipendono da decisioni prese dalla parte della committenza, ovvero committente, responsabile dei lavori o direttore dei lavori, è indubbio che il CSE se ne debba fare carico, eventualmente relazionandosi con il DL e il RL in caso siano necessari extra costi. Secondo le misure generali di tutela, il controllo dei rischi più efficace, e quindi da prediligere, è quello che annulla il pericolo. Trattandosi di interferenze lavorative, quindi, la misura che dovrebbe essere sempre valutata per prima è quella che vede l’interferenza stessa essere annullata da una conveniente programmazione dei lavori. La determinazione della durata dei lavori, però, è in carico al committente o al responsabile dei lavori (D.Lgs. 81/2008, art. 90 c. 1 lett. b), per cui il CSP (o il CSE in caso di modifiche in esecuzione) può trovarsi a non essere nelle condizioni di applicare la misura di tutela più efficace, rendendosi necessario quindi rivolgersi ad altre, di minore incisività. È perfettamente legittimo, quindi che le circostanze – ovvero le decisioni del committente o del RL – impongano al CSE un aggiornamento del PSC che si risolve in una minore tutela della sicurezza dei lavoratori rispetto alla edizione originale.
Se invece è l’affidatario che non riesce a rispettare la programmazione dei lavori, e quindi le modalità di gestione delle interferenze lavorative, che il CSE si presti a “adeguare” il PSC per rincorre le altrui inefficienze è profondamente sbagliato, perché nessuno accetterebbe di diminuire le richieste di un contratto, pagando il medesimo importo, solo perché la controparte non è in grado di rispettare i propri obblighi. In questa condizione consentire, e formalizzare con un “adeguamento”, una diminuzione delle tutele di sicurezza dei lavoratori, richieste dal PSC, può configurarsi anche come un reato commesso dal CSE. Sì, perché è facile immaginare un capo di imputazione suo a carico nel caso la genesi di un infortunio coinvolga uno di questi “adeguamenti” con diminuzione di tutele. Negligenza, imprudenza e imperizia sono le parole magiche.Il comportamento da consigliare quindi ad un CSE che si trovi ad avere a che fare con una impresa che inizi ad accumulare ritardi è quindi quello di avere un comportamento proattivo: muoversi per anticipare problemi più gravi, magari di concerto con il DL, e chiedere all’affidatario di presentare un piano per prevenire o recuperare il ritardo, completo di analisi dei rischi e definizione dei relativi controlli. Il CSE potrà approvare questo piano, quando ci saranno le condizioni previste dal D.Lgs. 81/2008 all’articolo 100 c. 5, ovvero quando sarà documentato che la tutela dei lavoratori aumenta. Una merce di scambio che sembra adeguata: l’appaltatore, per compensare il disagio che sta provocando a causa del suo ritardo, si impegna ad una maggiore diligenza in cantiere. In conclusione, cosa si debba considerare in automatico un aggiornamento del PSC o le frasi fatte che si mettono in calce ai documenti, come incantesimi, sono questioni che possono rassicurare il profano: per le dinamiche dei progetti e gli obblighi stabiliti dalla legge occorre qualcosa di più. È la parte più attenta della professione, dei coordinatori in questo caso, che deve farsi carico di andare oltre la superficie, creando, spiegando e diffondendo le buone pratiche. Aspettarsi che il professionista di un’altra materia, il giudice o l’avvocato, indichi all’ingegnere o all’architetto come comportarsi vuole dire disertare dalle proprie responsabilità. Nessuno chiederebbe una cura ad un giudice solo perché ha condannato un medico.
Pubblicato per a prima volta su LinkedIn, il 29 novembre 2019
Nei cantieri edili una comune causa di incidente è il contatto di parti del corpo con linee elettriche attive, che possono essere le attrezzature utilizzate per le operazioni, i cavi usati per connettere i quadri di cantiere con le apparecchiature elettriche, ma anche linee utilizzate per la distribuzione elettrica per il cantiere stesso, che vengono avvicinate o toccate dal lavoratore o da un’attrezzatura con la quale sono in contatto, con la capacità di condurre l’energia elettrica. Incompetenza nella scelta delle attrezzature, trascuratezza nell’allestimento degli impianti e nella manutenzione delle attrezzature, superficialità e improvvisazione nell’utilizzo sono le cause di questi incidenti in un settore, invece, ben normato in cui le attrezzature, specialmente negli ultimi anni, hanno fatto passi da gigante nella sicurezza del loro utilizzo.
Una parte rilevante degli incidenti accade a causa del contatto dell’operatore con cavi alimentati che, pure attraversando le aree di lavoro sospesi a pali o in cavidotti interrati, non sono stati posati o non vengono utilizzati per i lavori: sono incidenti subdoli, perché letteralmente nessuno fa caso a queste installazioni fino che l’incidente avviene. Una organizzazione diligente, sia essa la committente di lavori che l’impresa selezionata per la sua esecuzione, deve definire e mantenere una procedura per controllare i pericoli relativi ai lavori nei pressi di linee elettriche.
Devono essere considerati lavori nei pressi di linee elettriche tutte quelle attività durante le quali è possibile entrare all’interno della distanza di sicurezza stabilita per esse. Lo scopo di questo lavoro è quello di argomentare solo relativamente alla gestione delle interferenze con le linee elettriche di distribuzione che attraversano l’area di lavoro, siano esse state installate per gli scopi dei lavori, siano già presenti perché a servizio di altro: le dinamiche della gestione del rischio di elettrocuzione durante l’utilizzo delle attrezzature di lavoro elettriche, così come i lavori elettrici, sono lasciati ad altra trattazione specialistica.
Leggi l’articolo sul numero 3/2019 di Igiene & Sicurezza del Lavoro.