Caldo estremo nei cantieri: divieti regionali, rischio grave e imminente, e il ruolo del CSE

Di recente, con l’aumento delle ondate di calore, diverse Regioni italiane hanno introdotto ordinanze che vietano le lavorazioni nei cantieri durante le ore più calde della giornata. Queste misure amministrative nascono con l’obiettivo di tutelare la salute dei lavoratori, ma sollevano interrogativi tra i coordinatori per la sicurezza su come gestire concretamente il tema, in particolare rispetto al concetto di “pericolo grave e imminente” previsto dal D.Lgs. 81/08.

Ordinanze e norme tecniche: livelli diversi di intervento

Le ordinanze regionali che vietano le lavorazioni durante le ore più calde della giornata sono provvedimenti amministrativi temporanei, adottati in risposta a condizioni meteorologiche eccezionali. Si applicano in modo generalizzato, senza considerare le specificità di ogni cantiere, e hanno l’obiettivo dichiarato di semplificare la prevenzione in contesti ad alto rischio, soprattutto dove i controlli interni possono essere carenti.

Queste ordinanze, però, non sostituiscono le norme tecniche, che rappresentano il vero riferimento operativo per la gestione del rischio microclimatico nei luoghi di lavoro. Le norme tecniche spiegano cosa si deve fare per continuare a lavorare in presenza di temperature elevate, ma in condizioni controllate e sicure. In sintesi: il lavoro con il caldo, in determinate condizioni, è tecnicamente gestibile applicando le misure preventive previste dalle norme. Tuttavia, le ordinanze regionali lo hanno vietato in alcune fasce orarie, anche se il rischio, con gli strumenti adeguati, sarebbe controllabile. Non è il caldo ad aver reso il lavoro inaccettabile, lo ha fatto il provvedimento amministrativo, che stabilisce un divieto operativo indipendente dalla valutazione tecnica.

Quali sono le norme tecniche di riferimento?

  • UNI EN ISO 7243 – Stabilisce i criteri per valutare lo stress da calore attraverso l’indice WBGT (Wet Bulb Globe Temperature), che combina temperatura dell’aria, umidità, ventilazione e radiazione solare. In base ai valori rilevati, definisce soglie di rischio e raccomanda tempi di esposizione e pause.
  • UNI EN ISO 7933 – Approfondisce la valutazione dello stress termico e offre modelli predittivi per stimare l’impatto sul corpo umano, considerando anche il vestiario e il livello di attività fisica.
  • Linee guida INAIL e documenti ISPESL – Forniscono indicazioni pratiche per il settore edile, tra cui l’adozione di coperture ombreggianti, l’organizzazione di turni brevi nelle ore calde, la fornitura di acqua fresca, e la formazione dei lavoratori sul riconoscimento dei sintomi da colpo di calore.
  • Guida EU-OSHA 2023 sul rischio caldo – Documento europeo armonizzato che integra le migliori pratiche internazionali (NIOSH, OMS, ILO) con misure preventive adattabili alle diverse realtà lavorative.

L’ordinanza blocca le attività in modo generalizzato, ma non le hanno rese automaticamente pericolose, se si adottano misure di prevenzione adeguate. Confondere i due piani rischia di generare malintesi: il coordinatore per la sicurezza deve saper distinguere tra un divieto amministrativo da rispettare e la gestione tecnica del rischio.

Pericolo grave e imminente: definizioni e limiti operativi

Se un lavoratore è sotto il sole da ore e manifesta segni evidenti di affaticamento, disidratazione o malessere, non ci troviamo più davanti a un semplice pericolo legato alla lavorazione, ma a una vera e propria condizione di emergenza che richiede un intervento immediato.

Per comprenderlo correttamente, è utile richiamare la struttura logica dell’analisi RCA (Root Cause Analysis), che distingue sempre tra evento focus, cause immediate, cause sottostanti. La nostra situazione è affiancata ad un caso comune, per renderla maggiormente comprensibile.

DenominazioneLavoro in quotaClima estremo
Evento focusFerite e frattureColpo di calore
Causa immediataCadutaEsposizione a clima estremo
Causa sottostanteMancanza di parapettoViolazione del divieto orario

La probabilità che si verifichi l’evento focus, cioè il danno, cambia a seconda del contesto. Nel caso del colpo di calore la probabilità è alta: serve un’esposizione prolungata e condizioni specifiche, e non è automatico che avvenga. Nella caduta dall’alto, invece, il danno è praticamente certo, soprattutto alle quote più elevate.

Il concetto di “imminente” si lega al tempo: significa che qualcosa avviene senza alcun intervallo. Il colpo di calore, quindi non è immediato rispetto all’esposizione al sole: non è neanche certo. La caduta, al contrario, produce conseguenze immediate e praticamente sicure, specialmente se si cade da quote elevate.

Se si applicano correttamente le categorie, il caldo rappresenta un pericolo grave, ma non immediato in senso tecnico e giuridico. Il pericolo grave e imminente si configura solo quando il rischio si sta trasformando rapidamente in danno, e non è più sotto controllo.

Fino a quel momento, siamo nel campo della gestione preventiva, dove si possono applicare misure organizzative e tecniche per evitare il danno. Quando invece il lavoratore mostra già segni evidenti di malessere, la situazione passa da un problema di rischio a un’emergenza sanitaria. In quel caso, non si parla più di valutazioni preventive o di sospensione delle attività, ma si interviene immediatamente per tutelare la persona, secondo le procedure di primo soccorso.

È fondamentale, quindi non confondere i livelli:

  • il rischio caldo si gestisce con prevenzione, organizzazione e rispetto delle norme tecniche;
  • l’inosservanza di un’ordinanza regionale si segnala come violazione, ma non si trasforma automaticamente in pericolo grave e imminente;
  • la condizione clinica di un lavoratore in difficoltà impone un intervento immediato, perché la fase di pericolo è già superata, siamo nella gestione di un’emergenza.

Il ruolo del CSE: segnalare, non supplire

Il D.Lgs. 81/08 assegna al Coordinatore per la Sicurezza in fase di Esecuzione un ruolo preciso: vigilare sull’applicazione delle misure di sicurezza, segnalare le violazioni al responsabile dei lavori e, solo nei casi di pericolo grave e imminente, disporre la sospensione delle attività. Questa è la gerarchia degli interventi stabilita dalla legge: prima si segnala, si coinvolge chi ha la responsabilità gestionale e contrattuale, si chiede alle imprese di rientrare nei parametri; solo se si arriva a un rischio immediato e non controllabile, si procede con la sospensione.

E quindi, il mancato rispetto delle ordinanze regionali è un caso che deve essere trattato attivando la procedura dell’art. 92 c. 1 lett. e), la segnalazione al committente.

Nella pratica, però, si sta diffondendo una deriva che ribalta questa logica. Sempre più spesso, il CSE viene spinto o si sente legittimato a usare la sospensione come strumento ordinario per gestire il cantiere, mentre la comunicazione al responsabile dei lavori finisce per essere vista come un passaggio formale, da attivare solo quando la situazione è ormai degenerata.

È una stortura che genera gravi disfunzioni. Le imprese, in questo schema, finiscono per deresponsabilizzarsi, abituandosi a lavorare solo sotto la pressione diretta del CSE, senza sviluppare un reale senso di autonomia e di rispetto delle regole. Allo stesso tempo, il CSE si ritrova a svolgere un ruolo operativo che lo espone a responsabilità ulteriori, ben oltre i confini previsti dalla legge, con il rischio concreto di contestazioni o richieste di risarcimento danni da parte delle imprese o del committente.

Il punto più critico è proprio l’esclusione sistematica del responsabile dei lavori dal processo di gestione delle violazioni. Quando il CSE interviene in modo diretto e isolato, senza mantenere il flusso informativo verso il RL, si rompe la catena delle responsabilità, si depotenzia il sistema di prevenzione e si scarica tutto il peso operativo e giuridico sul coordinatore.

Tutelare la sicurezza dei lavoratori non può trasformarsi in un esercizio solitario, né in una forzatura degli strumenti normativi. La legge definisce ruoli, priorità e limiti proprio per garantire un equilibrio tra prevenzione, gestione e responsabilità. Alterare questo equilibrio può sembrare più rapido o più efficace nell’immediato, ma nel lungo periodo crea solo inefficienza e conflitti tra le figure coinvolte nel cantiere.

La sicurezza si costruisce con metodo, non con improvvisazioni

La sicurezza non si impone, si costruisce nel tempo, applicando le regole con coerenza e rispettando i ruoli. Ogni volta che si forza questo equilibrio, anche in buona fede, si genera confusione, si deresponsabilizzano le imprese e si espone il CSE a rischi che la legge non gli assegna.

Nel cantiere serve metodo, non scorciatoie. E serve il coraggio di coinvolgere chi ha la responsabilità, anche quando è più comodo intervenire in autonomia. Solo così la prevenzione diventa un sistema che regge, non una gestione improvvisata sotto pressione.