Protezione contro l’incendio: e il fattore umano? Procedure, esercitazioni, piani per la gestione delle emergenze predisposti a puntino servono a nulla se non si muta l’approccio mentale di tutti in azienda. Soprattutto a contatto con il fuoco
Periodicamente l’attenzione dell’opinione pubblica sulla gestione delle emergenze viene risvegliata da qualche incendio spettacolare. C’è stata la tragedia della Greenfell Tower a Londra: il 14 giugno 2017 si sviluppò un incendio in una torre residenziale di 24 piani, portando alla morte di 72 persone, tra le quali due giovani italiani, e al ricovero in ospedale di altre 74. Il 15 aprile 2019 è bruciato il tetto in legno della cattedrale di Notre Dame a Parigi, uno dei più famosi gioielli dell’architettura gotica francese, mutilando irreparabilmente un edificio carico di 852 anni di storia. Il 9 agosto di quest’anno a Faenza, in provincia di Ravenna, è andato a fuoco un capannone di un’azienda di logistica, contenente svariate merci dei propri clienti, tra cui gomma, plastica e olio alimentare, precipitando nel panico il circondario a causa di possibili esalazioni di diossine e furani. I vigili del fuoco hanno impiegato circa trenta ore per spegnere l’incendio e le prime stime parlano che, per far fonte ai primi indispensabili interventi di bonifica, sarà necessario mettere sul campo in breve tempo 2 milioni di euro (dei 15-20 stimati complessivi) in attesa che vengano definite le responsabilità civili e penali.
Protezione contro l’incendio: e il fattore umano?