Il blackout che ha colpito la Penisola Iberica il 28 aprile ha mostrato quanto le nostre vite siano sospese su infrastrutture invisibili, date per scontate e incredibilmente fragili. Non è stata solo un’interruzione tecnica, ma uno scossone simbolico che ha rivelato la nostra dipendenza totale da energia, rete e logistica per ogni gesto quotidiano. In pochi minuti, l’ordinario è diventato inaccessibile: il pagamento, il cibo, il movimento, la comunicazione.
Non eravamo pronti e, forse, non lo siamo mai stati davvero. Per questo, oggi più che mai, serve allenarsi a vivere anche senza: non con nostalgia, ma con la volontà di riscoprire gesti semplici, diretti, veri. Giocare ad essere umani non è una regressione, è un atto deliberato di libertà, un modo per restare vivi dentro un mondo che ci vuole sempre connessi ma mai davvero presenti.
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