Il primo rapporto della WHO, il 21 gennaio, riportava 282 casi confermati, il giorno successivo 314. Il 23 gennaio, il governo della Repubblica Popolare Cinese impose un blocco a Wuhan e nella provincia di Hubei, nel tentativo di mettere in quarantena il centro dell’epidemia, segregando una popolazione di 57 milioni di individui: solo una persona per famiglia era autorizzata a uscire per comprare cibo, ogni due giorni. Nella stessa data veniva accertato il primo caso esportato negli Stati Uniti, il 25 il primo caso nell’UE, in Francia, il 28 in Germania. Cosa è cambiato nel mondo del lavoro dal 30 gennaio 2020, quando la WHO ha emesso un annuncio di emergenza di salute pubblica internazionale?
La pandemia e il lavoro
La prima cosa che è certamente cambiata è il lavoro stesso. Per molte persone è semplicemente scomparso, diverse aziende hanno dovuto chiudere, ridurre o sospendere le loro attività. Sono soprattutto quelle che spostavano e riunivano le persone, come l’industria del turismo, dell’ospitalità e dell’intrattenimento. Altri, che hanno avuto la fortuna di poter continuare a lavorare, hanno visto una nuova preoccupazione associarsi alla loro attività; i primi sono gli operatori sanitari, esposti più di tutti al contagio. Ma anche i commessi di negozio, le persone a contatto con il pubblico, coloro che devono utilizzare i mezzi pubblici per recarsi al lavoro, gli insegnanti. Il lavoro a distanza si è imposto per tutte quelle attività per le quali è stato possibile, compresa la scuola e l’università.
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Autore: Antonio Pedna
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