La gestione di dati, documenti e comunicazioni è una sfida complessa per molte aziende. Non sempre tutti i processi sono definiti fino al punto da stabilire i criteri per tutte le comunicazioni e le registrazioni. Molto spesso, poi, le persone accumulano una esperienza lavorativa che le porta a privilegiare il loro personale modo informale di gestire le informazioni, disperdendole di fatto in diversi modi di registrarle, come i database personali, i file di testo, i fogli di calcolo e i documenti cartacei.
Le soluzioni di gestione dei documenti possono aiutare a mantenere tutte le informazioni critiche organizzate e aggiornate in tempo reale, migliorando la collaborazione e riducendo i tempi di attesa del loro ciclo di vita: produzione, analisi, approvazione, emissione, ritiro e sostituzione con una informazione più aggiornata.
Il concetto di cultura della sicurezza definisce il modo in cui le organizzazioni e i lavoratori affrontano le questioni relative alla sicurezza sul lavoro. Riflette gli atteggiamenti, le convinzioni, le percezioni e i valori condivisi da tutti i soggetti coinvolti nella prevenzione e nella gestione degli incidenti.
La cultura della sicurezza sta diventando sempre più un argomento attuale perché la tutela dei lavoratori non dipende solo dal rispetto delle norme o dall’assenza di infortuni, ma anche dall’impegno, dalla responsabilità e dalla cura che si manifestano a tutti i livelli dell’organizzazione. Una buona cultura della sicurezza richiede una leadership efficace, una comunicazione aperta, un apprendimento continuo e una condivisione dei rischi. In cambio, può portare a una maggiore produttività, qualità e soddisfazione dei lavoratori e dei clienti.
Parlare solo di tutela ambientale in relazione ai processi economici e produttivi è limitativo, poiché non tiene conto dell’evoluzione culturale ed economica che è stata messa in moto dal concetto di sostenibilità. Questa non riguarda solo la tutela dell’ambiente, ma anche l’integrazione di aspetti economici, sociali e culturali nella gestione delle risorse naturali. I cambiamenti culturali, sociali ed economici degli ultimi anni, hanno portato ad una maggiore consapevolezza dell’importanza della responsabilità sociale e ambientale nel processo produttivo.
Un Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) è una figura professionale che si occupa della sicurezza nei luoghi di lavoro, e la sua formazione e la sua esperienza lo portano ad avere un approccio mentale basato sulla prevenzione e sulla gestione del rischio. Questo approccio può essere estremamente utile anche nella formulazione di un piano di azione sostenibile per l’azienda. Infatti, il RSPP ha già acquisito una buona conoscenza delle pratiche e dei comportamenti che possono ridurre i rischi e migliorare la sicurezza nei luoghi di lavoro: conoscenze che possono essere utilizzate per identificare le azioni e le misure necessarie per migliorare la sostenibilità dell’azienda.
Di solito uso queste pagine per parlare del mio lavoro. Ma è il pomeriggio del 17 maggio e sono appena rientrato da una passeggiata per la mia città, Ravenna. Le strade sono quasi vuote, e le poche persone che le popolano parlano solo di una cosa: l’alluvione e l’attesa ondata di piena dei fiumi.
Doveva essere così il 27 maggio del 1636, quando il governo cittadino dovette affrontare un’altra grave inondazione. Allora la città era circondata dai fiumi Ronco e Montone, che ruppero gli argini e scavalcarono le mura, trasformando Ravenna in una grande piscina: ancora oggi passeggiando per il centro storico si possono vedere le lapidi che segnano il livello raggiunto dalle acque, abbondantemente oltre al primo piano. Almeno si salvarono le campagne, evitando la fame l’anno successivo. La globalizzazione non è poi una cattiva cosa, se puoi pagarti il cibo che viene da fuori.
Ravenna ha sempre avuto un rapporto particolare con l’acqua, che forse ci siamo dimenticati. La bassa Romagna è un territorio artificiale, così come la Pineta è un bosco creato dall’uomo che senza l’uomo non potrebbe esistere. La terra è stata strappata alle acque esattamente come i Paesi Bassi.
Se guardate una carta geografica, ma anche solo Google Maps, potrete leggere il territorio e i periodi delle bonifiche. I terreni a sud della città furono bonificati in epoca romana: lo si capisce leggendo il reticolo regolare attorno alla via Dismano, che collega Cesena a Ravenna. Il nome di questa strada, poi, è la corruzione del vocabolo Decumano, uno degli assi della centuriazione romana.
A sud ovest abbiamo le bonifiche medievali, quando le piccole comunità locali avevano perduto la forza e la competenza tecnica dei Romani, e torrenti, strade e confini dei lotti sono mobili e ricchi di curve. A nord ovest, ai confini con la provincia di Ferrara la bonifica rinascimentale. Una curiosità è che i signori di Ferrara usarono anche manodopera forzata, e alcune delle località della zona nacquero come colonie penali dove i condannati scontavano la pena ai lavori forzati. A nord est la bonifica moderna, in gran parte Ottocentesca e Novecentesca. E qui mi piace ricordare un avvenimento che credo abbia avuto conseguenze che sono andate ben oltre la nostra città: la rotta del Lamone del 1839, lo stesso fiume che in questi giorni ha inondato Faenza, ma un poco più verso il mare: tra Mezzano e Savarna.
I funzionari dell’epoca, di fronte ad uno scenario di distruzione, seppero guardare al di là delle contingenze e, invece di riparare i varchi negli argini, che furono distrutti parzialmente per oltre un chilometro e mezzo, con una breccia completa di più di duecentocinquanta metri, realizzarono prima un bacino provvisorio per guadagnare tempo e studiare una soluzione radicale, trasformandolo poi in una cassa di colmata. In questo modo furono guadagnati all’agricoltura – prima alla coltivazione del riso, poi a frutteto – oltre ottomila ettari di terreno, dando lavoro ai primi gruppi di braccianti che si erano uniti per sottrarsi allo sfruttamento del lavoro a giornata. Il direttore del genio civile era Filippo Lanciani, ingegnere romano: dopo qualche anno passò qualche guaio, fino ad essere spedito al confino nel 1848, se non ricordo male.
Chissà se questo pericoloso sovversivo guardava così lontano? Chissà se pensava alla nascita delle prime industrie di trasformazione del riso, le pilerie che sorsero nell’attuale via Don Minzoni, chiaramente riconoscibile anche oggi, e nel Mulino Lovatelli, dove c’è un ristorante etnico? Queste sono la preistoria dell’industria di trasformazione di prodotti agricoli che caratterizza tuttora l’economia romagnola.
Che magari sperasse che i continui lavori di manutenzione e di ampliamento delle casse di colmata avrebbero potuto fornire un’occasione di riscatto per la popolazione marginale urbana e del contado, cosa che poi avvenne agendo da catalizzatore per i movimenti cooperativi, che nascono appunto allora?
Una cosa è sicura: Nicola Cavalieri di San Bartolo, che iniziò l’opera, e Filippo Lanciani decisero di cercare un lato positivo di un evento distruttivo. Una decisione che non solo ebbe come conseguenza il guadagno di migliaia di ettari di buona terra coltivabile, ma – e soprattutto – diventarono levatori di un nuovo ordine sociale ed economico più giusto e, per usare una parola in voga, sostenibile.
Questo articolo nasce da una esperienza, fatta in AIAS Academy, nella quale un gruppo formato da Gilberto Crevena, l’autore di queste note e altri, si è domandato come realizzare concretamente il processo di valutazione dell’efficacia della formazione durante la prestazione lavorativa, che si è recentemente affacciato alla cronaca. Sono riconoscente a tutti i colleghi per la profondità dei loro stimoli. Chiaramente errori, omissioni o superficialità sono tutti da attribuire a me.
La necessità di misurare i risultati, per potere regolare lo sforzo in ragione degli obiettivi da raggiungere, non è solo una questione di buonsenso, ma anche un portato dei sistemi di gestione. In un ciclo PDCA, infatti, le attività operative sono tenute sotto controllo attraverso la predisposizione di un sistema di misurazione e di monitoraggio, per consentire di raccogliere dati utili a modificare la pianificazione vari processi, allo scopo di raggiungere gli obiettivi definiti. In sostanza si tiene sotto controllo che l’output delle attività raggiunga i risultati voluti, variando gli input dei vari sottoprocessi e la loro articolazione, che contribuiscono all’esito finale. In un viaggio, si accelera o rallenta il veicolo, in relazione alle condizioni del viaggio e al raggiungimento delle tappe intermedie, per assicurarsi di arrivare alla meta all’orario prestabilito.
Il singolo corso di formazione alla sicurezza ha un obiettivo più ampio di quello di fornire semplicemente nozioni: l’ambizione di mettere in moto un processo di rielaborazione interna al discente, che auspicabilmente dovrà sfociare in un miglioramento della sua consapevolezza dei pericoli e nel miglioramento della sua cultura della sicurezza. A questo obiettivo occorre concedere un certo tempo per potere essere raggiunto, durante il quale il lavoratore può essere esposto alle influenze negative provenienti dal proprio ambiente di lavoro che possono agire in senso contrario agli obiettivi della formazione, ma anche semplicemente abbassare il livello di priorità percepita verso il cambiamento, facendo dimenticare rapidamente le nozioni acquisite e la necessità di metterle alla prova.
Puoi leggere l’articolo Verificare l’efficacia della formazione durante il lavoro su ISL numero 4 del 2023.
Questi cambiamenti colgono il segno? Danno una risposta alle aspettative che fasce sempre più larghe dell’opinione pubblica e del mondo del lavoro richiedono? Forniranno strumenti efficaci per la lotta contro gli infortuni? La risposta è semplice: no.
Le lacune culturali e di competenza dovute alle dimensioni delle aziende del nostro paese, impediscono spesso di comprendere appieno gli obblighi e gli obiettivi della normativa e, di conseguenza, ciò che viene richiesto ai professionisti diventa spesso solo un adempimento meramente formale, senza una vera protezione dei lavoratori. Una certa quota della professione, poi si è orientata a soddisfare richieste inadeguate, legando l’asino dove vuole il padrone, e rinforzando questa spirale negativa.
In generale, le protezioni delle parti pericolose di attrezzature ed impianti non devono essere rimosse. Il Decreto legislativo 81 del 2008 lo mette ben chiaro, ad esempio descrivendo gli obblighi del lavoratore: non rimuove o modifica senza autorizzazione i dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo. Esistono quindi condizioni in cui questo è ammissibile. Lo standard UNI EN ISO 14118:2018 Sicurezza del macchinario – Prevenzione dell’avviamento inatteso, elenca dodici situazioni in cui può essere necessaria la presenza di persone in zone pericolose delle attrezzature o degli impianti. Sono le ispezioni, le azioni correttive come la risoluzione di bloccaggi e simili, le regolazioni, il carico e scarico manuale, la sostituzione degli utensili, la lubrificazione, la pulizia, lo smantellamento, le manutenzioni e le riparazioni, le prove e le verifiche, il lavoro sui circuiti di alimentazione e i lavori di manutenzione straordinaria.
Le procedure LOTO sono state create dall’industria per garantire un livello di sicurezza accettabile anche in quelle condizioni in cui occorre rimuovere le protezioni che prevengono il lavoratore di entrare in una prossimità che può diventare pericolosa, rispetto all’attrezzatura o all’impianto sul quale sta operando. LOTO sta per lock-out (blocca) tag-out, (installa una etichetta), e sono misure di sicurezza che si applicano quando si lavora su impianti o macchinari elettrici, meccanici o idraulici. Lo scopo di queste procedure è quello di isolare le fonti di energia pericolose e impedire che vengano riattivate accidentalmente o intenzionalmente durante le operazioni di manutenzione o riparazione. In sostanza, si blocca il dispositivo di avviamento dell’attrezzatura e dell’impianto con un lucchetto (lock-out) la cui chiave è in possesso di chi sta svolgendo l’intervento, e si colloca una etichetta che spiega che quella attrezzatura è disattivata per motivi di sicurezza (tag-out). Nel caso si tratti di una attrezzatura o un impianto complesso, sul quale dovranno intervenire più squadre, ogni squadra può applicare il proprio lucchetto (se non esiste sufficiente spazio sono in commercio blocchi che permettono di farlo) e l’attrezzatura potrà ripartire solo quando l’ultima di esse avrà rimosso il proprio, perché i lavori sono terminati.
Ho frequentato un istituto tecnico e le regole della grammatica di gran parte delle materie che ho studiato erano le norme tecniche. Sono gli anni si in cui ci si appassiona alle cose. Qualcuno impara a suonare la chitarra, qualcun altro trova la sua vocazione professionale, magari politica. Alcuni religiosa. A me e ai miei compagni di classe piacevano i motori. Conoscere le norme tecniche ci metteva in grado di compiere quella magia per cui eravamo in grado di realizzare nelle officine della nostra scuola i pezzi speciali che avremmo montato sui nostri motorini: pulegge, ingranaggi. Con l’obiettivo di andare più veloce!
Vi siete mai chiesti perché un bullone M10 realizzato, facciamo, in Brianza, riesce ad avvitarsi perfettamente con un dado M10 prodotto, per dire, a Shangai? È perché il mondo industriale ha deciso di sviluppare regole condivise per i propri prodotti. In Italia abbiamo la UNI, l’ente italiano di normazione, che nasce nel 1921 come “comitato generale per l’unificazione meccanica”, UNIM. Negli stessi anni, per i medesimi obiettivi, ad esempio negli Stati Uniti viene fondata l’ANSI, American National Standards Institute e in Germania la DIN, Deutsches Institut für Normung, istituto tedesco per la standardizzazione, per dire.
Con il tempo gli enti di normazione hanno allargato il loro lavoro dai prodotti alle organizzazioni. Sono nati i sistemi di gestione. Prima con l’obiettivo della qualità, poi con quello di supportare le aziende a proteggere l’ambiente e la sicurezza dei lavoratori.
La formazione sulla sicurezza sul lavoro è un aspetto cruciale per garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori in qualsiasi ambiente lavorativo. Negli ultimi anni, ci sono state numerose tendenze nella formazione sulla sicurezza sul lavoro, che riflettono l’evoluzione delle tecnologie, delle normative e delle pratiche aziendali. Quali sono queste tendenze e come stanno influenzando la formazione sulla sicurezza sul lavoro?
La formazione sulla sicurezza sul lavoro è un aspetto fondamentale per garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori in tutti i settori. Le tendenze emergenti nella formazione sulla sicurezza sul lavoro stanno offrendo nuove opportunità per migliorare la formazione e proteggere i lavoratori da rischi e pericoli sul posto di lavoro.
Puoi leggere l’articolo Quali sono gli ultimi trend della formazione sulla sicurezza sul lavoro e come si evolvono? cliccando a questo link.
A partire dal 2008 in Italia le lesioni colpose gravi e gravissime e l’omicidio colposo, avvenuto con la violazione delle norme sulla tutela della salute sul lavoro, possono essere contestate anche alle persone giuridiche, alle aziende, oltre che alle associazioni prive di personalità giuridica. Se il reato è stato commesso per un interesse dell’organizzazione, o per procurarle un vantaggio, da una persona che risponde, in senso lato, all’organizzazione stessa, quindi non necessariamente un dipendente, un dirigente o un procuratore di questa, allora l’organizzazione può essere condannata al pagamento di una sanzione pecuniaria, o a sanzioni amministrative che impattano sulla sua capacità di produrre valore per i proprietari o gli azionisti.
Nel nostro Paese è in corso un ampio dibattito sull’efficacia di un sistema meramente repressivo per la prevenzione degli infortuni, perlopiù tra gli attori tecnici e professionali, con una partecipazione molto scarsa di quelli istituzionali. È necessario osservare che la 231 non si limita ad allargare l’area della repressione dalle persone fisiche alle organizzazioni, ma propone una azione preventiva nei confronti di questi reati, con strumenti e finalità prettamente tecniche.