Asseverazione MOGC: quali vantaggi per un’azienda? | Teknoring

A partire dal 2008 in Italia le lesioni colpose gravi e gravissime e l’omicidio colposo, avvenuto con la violazione delle norme sulla tutela della salute sul lavoro, possono essere contestate anche alle persone giuridiche, alle aziende, oltre che alle associazioni prive di personalità giuridica. Se il reato è stato commesso per un interesse dell’organizzazione, o per procurarle un vantaggio, da una persona che risponde, in senso lato, all’organizzazione stessa, quindi non necessariamente un dipendente, un dirigente o un procuratore di questa, allora l’organizzazione può essere condannata al pagamento di una sanzione pecuniaria, o a sanzioni amministrative che impattano sulla sua capacità di produrre valore per i proprietari o gli azionisti.

Nel nostro Paese è in corso un ampio dibattito sull’efficacia di un sistema meramente repressivo per la prevenzione degli infortuni, perlopiù tra gli attori tecnici e professionali, con una partecipazione molto scarsa di quelli istituzionali. È necessario osservare che la 231 non si limita ad allargare l’area della repressione dalle persone fisiche alle organizzazioni, ma propone una azione preventiva nei confronti di questi reati, con strumenti e finalità prettamente tecniche.

Puoi leggere tutto l’articolo Asseverazione MOGC: quali vantaggi per un’azienda? su Teknoring.

231 e audit HSE | HSE Manager Wolters Kluwer

È necessario, o anche solo consigliabile, inserire esperti in sicurezza e ambiente all’interno dell’Organismo di Vigilanza previsto dal D.Lgs. 231 del 2001?

Leggi il post 231 e audit HSE sulla pagina di HSE Manager di Wolters Kluwer su LinkedIn.

Perché il nostro sistema nazionale della prevenzione è inefficace

Ho pubblicato su LinkedIn un post per illustrare questo grafico, che ho preparato per un articolo, ma che mi sembrava interessante condividere in anticipo. La curva descrive il rapporto tra numeri di infortuni mortali denunciati, tratto dalle serie storiche INAIL, e le ore lavorate, ricavato da quelle ISTAT. Si può vedere come gli infortuni mortali, in proporzione con le ore lavorate, in quarant’anni sono diminuiti di circa il 20%. Il grosso però è avvenuto PRIMA dell’adozione delle direttive europee, che sono applicate in Italia dal 1994, anno del Decreto Legislativo 626. Paradossalmente, l’entrata in vigore del Testo Unico coincide con un picco degli infortuni mortali, nel 2009, che da allora (oltre dieci anni fa) sono diminuiti, ma con una decrescita molto lenta, in assoluto e paragonabile a quella che si era raggiunta prima del Testo Unico.

A mio avviso, questo è un segnale molto chiaro di come le politiche sulla sicurezza sul lavoro degli ultimi anni siano inefficaci. Dal 2008 abbiamo avuto il Testo Unico, la Responsabilità Amministrativa degli Enti, finalmente sono stati definiti percorsi di formazione e di addestramento con una logica… eppure tutto questo sembra non avere avuto un grande influsso sui nostri punteggi.

Ho scritto queste righe all’indomani del provvedimento che promette la solita svolta radicale, ma intanto mette su un binario morto il SINP, che è quell’istituto che dovrebbe raccogliere i dati in maniera sistematica, in modo da pianificare e tenere sotto controllo le politiche di prevenzione. In Italia non abbiamo dati, ovvero ciò che si può estrapolare dai database pubblici è poco più di questo che ti mostro. Nell’attesa di informazioni più dettagliate, qual è la risposta alla domanda: un indicatore di questo tipo mi aiuta a prevenire gli infortuni?

Sì, senz’altro.

Cosa ci dice questo grafico? Ci dice sicuramente che il sistema legislativo di prevenzione che è stato imposto dall’Unione non ha avuto la medesima influenza che ha mostrato altrove nel ridurre gli incidenti. Infatti, il documento UE Quadro strategico dell’UE in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro 2021-2027 afferma che, tra il 1994 e il 2018 gli infortuni mortali sul lavoro nel territorio dell’unione sono diminuiti di circa il 70%, fornendo inoltre dati tangibili sul loro costo economico e sociale, che in Italia è pari a oltre il 6% del PIL, circa TRE VOLTE il contributo dell’agricoltura al nostro prodotto interno lordo!

Ha quindi senso continuare con un sistema che si è mostrato inefficace? Aumentare le sanzioni, rendere gli obblighi più stringenti? Trasformare una materia prettamente tecnica nella piastra di petri di azzeccagarbugli e spaccatori professionisti di capelli in quattro?

Da The efficacy of industrial safety science constructs for addressing serious
injuries & fatalities
, di M. Dominic Cooper.

Da qualche tempo mostro anche questo grafico: l’andamento trentennale degli infortuni in Gran Bretagna, correlato ad altri dati ed eventi. L’UK trent’anni fa era come noi, oggi ha un terzo dei nostri infortuni e malattie professionali. Come ha fatto? Creando un meccanismo che ha coinvolto le parti sociali, sindacati, industriali, professionisti, che hanno promosso e sostenuto iniziative di miglioramento periodiche (le linee verticali).

Volete un esempio? Conoscete la storia delle CSCS cards? Si tratta di un sistema di qualificazione volontario delle competenze dei lavoratori dell’edilizia, diffuso nel Regno Unito. Nato nel 1995 su iniziativa privata, negli anni 2000 le principali imprese di costruzioni britanniche decisero di adottarlo unilateralmente, per combattere l’aumento degli incidenti nel loro settore, ed oggi è gestito dal CITB, il Construction Industry Training Board, è supportato dal Construction Leadership Council ed è uno standard de-facto: non si entra in cantiere senza CSCS card.

In Italia, invece, si invoca l’intervento demiurgico del governo, salvo poi farlo a pezzi perché inadeguato, velleitario, limitativo. Dal grafico in apertura si può desumere che il legislatore abbia dato ampiamente prova della sua incapacità, per cui sarebbe opportuno che facesse un passo indietro. Come in Gran Bretagna, dovrebbe astenersi dal definire un processo regolatorio nei minimi particolari, per una disciplina tecnica, “limitandosi” a creare i presupposti per il coinvolgimento dei quattro grandi gruppi che vi operano: gli imprenditori, la grande proprietà e gli investitori, i sindacati, i professionisti. Naturalmente, questi dovrebbero modificare il loro atteggiamento e comprendere che il miglioramento del settore non può andare a discapito anche solo degli inteessi di parte interessata.

Ciascuno deve potere rinunciare a qualcosa per ottenere un miglioramento maggiore e più duraturo. Ma è difficile, lo so. Molto meglio proseguire con le grida manzoniane.

Responsabilità amministrativa degli enti, sicurezza e ambiente: le competenze per un OdV | ISL

Il Decreto Legislativo 231 del 2001 stabilisce la responsabilità amministrativa degli enti forniti di personalità giuridica e delle società e associazioni anche prive di personalità giuridica, in relazione alla commissione di particolari reati che possono essere commessi a loro interesse o a loro vantaggio, da persone che svolgono la loro attività per loro conto, anche di fatto. In sostanza, qualora un rappresentante, un dirigente o anche un semplice dipendente di una particolare organizzazione, o una persona che agisce come tale, pur senza regolare assunzione o formalizzazione del rapporto professionale, dovesse essere trovata responsabile di avere commesso un particolare reato presupposto, oltre che la persona fisica che ha commesso il reato, ne risponderebbe anche l’organizzazione cui fa riferimento. La norma stabilisce alcune limitazioni della responsabilità dell’organizzazione, le più interessanti sono il fatto che la condotta individuata come reato deve avere come scopo il perseguimento di un interesse o di un vantaggio per l’ente e l’avere affidato ad un organismo definito il compito di vigilare sul funzionamento, l’osservanza e l’aggiornamento di un modello di gestione idoneo a prevenire i reati presupposto.

L’obiettivo di un modello in relazione ai reati contro la salute, la sicurezza e l’ambiente, dovrebbe quindi essere quello di prevenire infortuni, malattie professionali e incidenti ambientali. Un modello è, o dovrebbe essere, un sistema di gestione, integrato da un sistema sanzionatorio sul quale vigila un organismo di vigilanza, ed è funzionale innanzitutto se possiede le caratteristiche previste dallo standard di riferimento, e ne rispetta i requisiti.

Leggi tutto l’articolo sul numero 11/2021 di Igiene & Sicurezza del Lavoro

Standard o legge?

Il rapporto tra norma cogente e norma volontaria, tra le norme di legge a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e gli standard dei sistemi di gestione della salute e della sicurezza era già molto discusso ai tempi della BS OHSAS 18001:2007 Occupational Health and Safety Assessment Series; queste discussioni hanno avuto grande parte dibattito che ha portato all’emissione della ISO 45001:2018 Sistemi di gestione per la salute e la sicurezza.

In Italia, così come in gran parte dei paesi del mondo, esiste una legislazione in materia di sicurezza e salute sui luoghi di lavoro molto sviluppata, con ampi collegamenti a prassi condivise nel resto del mondo, frutto dell’appartenenza del nostro Paese ad associazioni ed organismi politici internazionali che hanno stipulato accordi tra i loro membri, primi tra tutti le Nazioni Unite (ONU) e la sua agenzia per il lavoro, l’International Labour Organization (ILO), e l’Unione Europea. È al di fuori di ogni dubbio che la legge mette a carico delle aziende obblighi e responsabilità in relazione alla salute ed alla sicurezza dei lavoratori che prestano la loro opera presso questa azienda. In più, le persone fisiche che ricoprono rilevanti ruoli aziendali hanno responsabilità personali verso la tutela dei lavoratori, che derivano direttamente dai ruoli ricoperti e dai poteri esercitati, anziché dall’assegnazione di ruoli fantasiosi.

Leggi l’articolo sul numero 11/2019 di Ambiente e Sicurezza