Organizzare trasferte è oggi più semplice, ma la facilità logistica non equivale a sicurezza: i rischi, anche banali, possono trasformarsi in crisi se non gestiti in modo strutturato. La responsabilità del datore di lavoro accompagna sempre chi viaggia per conto dell’azienda, e non si esaurisce con il confine dell’ufficio. La norma ISO 31030:2021 fornisce una guida per costruire un sistema di travel risk management basato su pianificazione, ruoli chiari e misure preventive, integrabile con gli standard di salute e sicurezza già esistenti.
Non si limita a elencare procedure, ma propone una politica consapevole, capace di orientare le decisioni nei momenti critici e ridurre l’improvvisazione. Il rischio di viaggio non va solo valutato, ma trattato con azioni concrete – dalla scelta degli alloggi alla gestione delle emergenze – seguendo il ciclo continuo plan-do-check-act. Adottare questo approccio significa passare da una logica difensiva a una cultura del rischio matura, che protegge le persone e rafforza l’organizzazione.
Puoi leggere tutto l’articolo Travel risk management, come andare oltre la semplice procedura? su Teknoring.
La specifica internazionale IWA 48:2024 propone un nuovo strumento per integrare i principi ESG nei sistemi di gestione per la salute e sicurezza sul lavoro, offrendo una visione che collega sostenibilità e responsabilità sociale. Il documento, pubblicato da ISO e IEC, si fonda su sei principi guida: centralità delle persone, leadership, trasparenza, cultura organizzativa, coinvolgimento attivo e miglioramento continuo, in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030.
Pur non essendo certificabile, l’IWA 48 è pensata per accompagnare le imprese nel rafforzare l’allineamento tra performance ESG e tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Il testo suggerisce un approccio integrato e volontario, utile sia per organizzazioni che già applicano standard come ISO 45001, sia per quelle che vogliono rendere più credibile il proprio impegno sostenibile. L’adozione dei sei principi favorisce la coerenza tra valori dichiarati e pratiche concrete, rendendo più robusta la governance aziendale anche in contesti complessi.
Scopri come i sei principi ESG possono rafforzare davvero la cultura della sicurezza e rendere più credibile l’impegno sostenibile della tua azienda. Leggi l’articolo completo su Teknoring.it.
L’obbligo di formazione sulla sicurezza sul lavoro esiste in Italia dal 1994, ma per anni è rimasto privo di contenuti chiari, lasciando spazio a una gestione disomogenea e spesso formale. Solo nel 2011, con il primo Accordo Stato-Regioni, si è cercato di introdurre criteri minimi, colmando un vuoto che il mondo professionale non aveva saputo affrontare da solo. Il nuovo Accordo del 2025 alza leggermente l’asticella, chiedendo maggiore rigore ai soggetti formatori, ma senza imporre obblighi eccessivi. Intanto, altri paesi hanno costruito standard volontari solidi, come IOSH, NEBOSH, VCA e CSCS, dimostrando che la qualità si può raggiungere anche senza norme stringenti.
In Italia, invece, si è spesso preferita la conformità alla qualità, in un sistema dominato da approcci giuridici più che tecnici. Solo l’apertura internazionale ha cominciato a scuotere questa inerzia, portando esempi virtuosi anche da aziende italiane come SAIPEM, che investe milioni nella formazione e ottiene risultati eccellenti. Il vero tema oggi non è se sei ore ogni due anni siano troppe, ma perché non si investa con la stessa intensità nei dirigenti e nelle figure apicali. L’Accordo è un punto di partenza, ma la sicurezza, quella vera, resta una scelta culturale prima che normativa.
Leggi l’articolo Il nuovo accordo sulla formazione: un punto di partenza, non un traguardo su ISL numero 6/2025.
Il lavoro collaborativo non nasce dalla buona volontà dei singoli, ma da un’organizzazione che struttura ambienti, ruoli e processi per facilitare fiducia, trasparenza e obiettivi comuni. Gli standard della serie ISO 44000 offrono una guida utile per costruire relazioni efficaci, applicabili tanto alle aziende private quanto alla pubblica amministrazione. Tra questi, ISO 44001 consente di implementare un vero sistema di gestione certificabile, integrabile con altri standard come quelli per la qualità o la sicurezza sul lavoro.
Un altro riferimento importante è ISO 37500, che aiuta a governare in modo strategico l’outsourcing, chiarendo accordi e prevenendo i principali rischi legati alla dipendenza dai fornitori. Integrare questi strumenti nei processi aziendali significa rafforzare l’efficienza e migliorare la coerenza tra prestazioni, requisiti normativi e responsabilità ambientale e sociale. Adottare un approccio collaborativo, in definitiva, permette di costruire partnership più solide, ridurre i rischi e generare valore nel lungo periodo.
Puoi leggere l’articolo Lavoro collaborativo: standard e strumenti per una gestione efficace su AIASMag numero 34.
Il lavoro è ancora un motivo di orgoglio, ma troppo spesso viene soffocato da retoriche stanche, abitudini pericolose e silenzi colpevoli. I numeri degli infortuni raccontano una realtà dura, fatta di incidenti evitabili e di vite spezzate che non trovano spazio nei discorsi ufficiali. La sicurezza non può essere ridotta a un adempimento formale: è rispetto, è cultura, è responsabilità condivisa.
Il Primo Maggio non è una festa se il lavoro continua a ferire, isolare, sfruttare, e troppe volte a uccidere. Ma c’è chi non si arrende, chi costruisce ogni giorno un’alternativa fatta di cura, ascolto, scelta. E un domani, quando il cambiamento sarà sotto gli occhi di tutti, chi ha ignorato, trascurato, eluso, rimpiangerà di non aver scelto prima – perché la dignità, prima o poi, diventa contagiosa.
Puoi leggere l’articolo Il primo maggio è la festa di tutti i lavoratori, ma la sicurezza e la dignità dove sono? su Teknoring.
Per decenni, la devastazione ambientale è stata ignorata, finché eventi come il Grande Smog di Londra e gli incendi del fiume Cuyahoga non hanno reso evidente la fragilità del pianeta. La prima Giornata della Terra del 1970 ha segnato la nascita di una coscienza collettiva, spingendo milioni di persone ad agire e influenzando profondamente le scelte politiche e culturali. Oggi, disastri climatici si susseguono in ogni angolo del mondo, ma le risposte restano lente, frammentarie e troppo spesso subordinate a logiche economiche e politiche di breve termine.
Nonostante le promesse e gli impegni globali, ogni crisi diventa un pretesto per rinviare le azioni necessarie, trasformando l’emergenza in normalità e indebolendo la volontà di cambiamento. La crisi climatica colpisce in modo diseguale, aggravando le ingiustizie sociali e lasciando le persone più vulnerabili esposte alle peggiori conseguenze. Abbiamo conoscenze, tecnologie e strumenti per affrontare questa sfida, ma serve il coraggio di agire ora, senza più illusioni di avere tempo.
Puoi leggere l’articolo Giornata della Terra 2025: dalla prima presa di coscienza al cambiamento climatico, un excursus su Teknoring.
L’imprenditoria globale contribuisce alla trasformazione del mercato italiano, introducendo innovazione, diversità culturale e nuove pratiche gestionali, ma si scontra spesso con la rigidità normativa locale. Le aziende straniere possono stimolare il rinnovamento del sistema produttivo, soprattutto in ambito di digitalizzazione, sicurezza e sostenibilità, ma devono adattarsi a un contesto regolatorio complesso. Le norme italiane, pur tutelando i lavoratori, possono rappresentare un ostacolo per chi proviene da realtà con standard diversi o meno sviluppati.
La gestione della diversità e l’inclusione delle donne richiedono uno sforzo culturale ulteriore, specialmente per le imprese provenienti da contesti più chiusi. La formazione professionale, se improntata su modelli più dinamici e internazionali, può offrire nuove opportunità anche alle imprese italiane. Reti di supporto, mentoring e collaborazione tra imprese e istituzioni risultano fondamentali per favorire l’integrazione e migliorare le performance complessive del sistema economico.
Puoi leggere l’articolo Quali opportunità derivano dall’imprenditoria globale per la crescita ESG in Italia? su Teknoring.
AIAS Academy, l’organizzazione per la formazione di AIAS, Associazione Italiana Ambiente e Sicurezza, la più grande associazione professionale dei professionisti di ambiente e sicurezza, ha sviluppato una serie di webinar aperti a tutti, in programma il secondo lunedì di ogni mese, per approfondire questo tema. Durante questi incontri, interverranno esperti del settore, che porteranno la loro esperienza e il loro contributo alla discussione, offrendo un confronto diretto e aggiornato sulle tematiche più rilevanti. Attraverso questi incontri, i partecipanti hanno l’opportunità di comprendere meglio il ruolo dell’HSE Manager e l’importanza della certificazione professionale, con un focus specifico sulla revisione della norma UNI 11720.
Il ruolo dell’HSE Manager: da garante della conformità a stratega aziendale
L’HSE Manager non è più solo il responsabile della conformità alle normative di sicurezza e ambiente, ma un attore chiave nella definizione delle strategie aziendali. La sua capacità di anticipare e gestire i rischi, promuovere una cultura della sicurezza e integrare i principi HSE nei processi decisionali è cruciale in settori ad alto rischio come edilizia, energia e industria chimica. Le aziende più strutturate stanno riconoscendo il valore della gestione HSE come leva competitiva e sempre più spesso richiedono certificazioni per garantire competenze aggiornate e riconosciute a livello internazionale.
Perché certificarsi? I vantaggi per i professionisti
Ottenere una certificazione permette di dimostrare competenze specifiche e aggiornate, aumentando le opportunità di carriera. In molti settori, la presenza di un HSE Manager certificato è un valore aggiunto per l’azienda e un requisito per accedere a incarichi di responsabilità. Alcune multinazionali operano in paesi che richiedono certificazioni specifiche, come NEBOSH, BCSP o standard ISO. Essere certificati aumenta la possibilità di lavorare in contesti globali, specialmente in settori regolamentati. Un HSE Manager certificato è in grado di applicare metodologie avanzate per la valutazione e la gestione dei rischi, contribuendo a ridurre incidenti e non conformità aziendali. La certificazione rappresenta inoltre una garanzia di competenza per datori di lavoro, clienti e colleghi e, in alcuni settori, è addirittura un requisito per partecipare a gare d’appalto o progetti internazionali.
Certificazioni internazionali: confronto tra le principali qualifiche HSE
Le certificazioni HSE riconosciute a livello globale si suddividono in tre principali categorie. Le certificazioni britanniche includono IOSH, che offre un sistema di membership progressiva per professionisti della sicurezza, IEMA, che fornisce qualifiche per esperti in gestione ambientale, e NEBOSH, che rilascia certificazioni tecniche richieste in molti settori industriali. Negli Stati Uniti, il Board of Certified Safety Professionals (BCSP) offre qualifiche prestigiose come il Certified Safety Professional (CSP), particolarmente apprezzato per ruoli dirigenziali, e il Certified Hazardous Materials Manager (CHMM), dedicato alla gestione dei materiali pericolosi. Le certificazioni ISO, invece, si concentrano sui sistemi di gestione e includono ISO 45001 per la sicurezza sul lavoro e ISO 14001 per la gestione ambientale.
Queste certificazioni offrono diversi livelli di qualificazione e sono spesso complementari tra loro. Un HSE Manager che punta a una carriera internazionale può combinare il NEBOSH Diploma con il CMIOSH (Chartered Member of IOSH) o con il CSP (Certified Safety Professional).
La nuova UNI 11720:2025 e le novità per la certificazione HSE
La revisione della UNI 11720 introduce criteri più dettagliati e aggiornati per la certificazione degli HSE Manager, allineandosi agli standard internazionali e migliorandone la riconoscibilità. La norma definisce in modo più chiaro le conoscenze, le abilità e le responsabilità di un HSE Manager, integrandole con il Quadro Europeo delle Qualifiche (EQF). Introduce inoltre una classificazione dei ruoli tra HSE Specialist, esperto operativo con focus sulla gestione tecnica e normativa, e HSE Manager, figura con responsabilità strategiche e decisionali coinvolta nella definizione delle politiche aziendali.
La certificazione dovrà essere rilasciata da enti accreditati secondo la ISO/IEC 17024, garantendo qualità e imparzialità nella valutazione delle competenze. Il processo di certificazione prevede un esame teorico, una valutazione pratica e un colloquio tecnico, per garantire che i professionisti certificati abbiano competenze reali e verificate.
Come ottenere la certificazione HSE Manager?
Per ottenere la certificazione secondo la UNI 11720:2025, i candidati devono soddisfare requisiti specifici, come una formazione adeguata e un’esperienza professionale documentata. Il processo di certificazione prevede un test scritto o una prova pratica, seguita da un colloquio tecnico con esperti del settore. Se il candidato supera tutte le fasi, ottiene la certificazione, che ha validità per un periodo definito e richiede aggiornamenti periodici per il rinnovo. È fondamentale scegliere un ente di certificazione accreditato per garantire il riconoscimento internazionale della qualifica.
I vantaggi della certificazione per le aziende
Le aziende che impiegano HSE Manager certificati possono ottenere benefici concreti. La certificazione garantisce un livello di preparazione uniforme tra i professionisti, facilitando la selezione e l’inserimento in azienda. Un HSE Manager certificato è in grado di implementare strategie efficaci per la prevenzione degli infortuni e la mitigazione dei rischi, riducendo il numero di incidenti. In molti settori, la presenza di HSE Manager certificati è un requisito per ottenere commesse e partnership internazionali. Un professionista certificato assicura inoltre il rispetto delle normative più recenti, riducendo il rischio di sanzioni e responsabilità legali.
La certificazione secondo la UNI 11720:2025 rappresenta un’opportunità per gli HSE Manager di ottenere un riconoscimento ufficiale delle proprie competenze, aumentando le possibilità di carriera e migliorando la qualità della gestione HSE nelle aziende. Per chi desidera certificarsi, è essenziale verificare i requisiti richiesti, scegliere un ente di certificazione accreditato, prepararsi al processo di valutazione e completare l’esame e il colloquio tecnico. Per le aziende, l’adozione della certificazione UNI 11720:2025 può diventare una leva strategica per migliorare la sicurezza, ridurre i rischi e aumentare la competitività sul mercato.
L’aggiornamento delle competenze e la certificazione professionale sono oggi strumenti essenziali per affrontare le sfide del mondo del lavoro. Investire nella certificazione HSE non è solo un passo avanti nella carriera, ma un vantaggio concreto per il futuro.
A questo link puoi avere informazioni su questa iniziativa.
Sempre più spesso aziende multinazionali operano in Italia applicando modelli organizzativi consolidati in altri contesti, senza interrogarsi sulla loro effettiva praticità. Al contrario di quanto ci si aspetta da questo comportamento, si tratta di una tendenza con la potenzialità di generare problemi rilevanti, soprattutto nella gestione dei cantieri, dove la normativa italiana impone requisiti specifici in materia di sicurezza e salute.
Adattare modelli globali alla realtà italiana
Una delle principali problematiche riguarda l’introduzione di figure professionali aggiuntive, definite nei protocolli Corporate, che si sovrappongono ai ruoli previsti dalla legge italiana, come il Coordinatore per la Sicurezza in fase di Esecuzione. Questi incarichi paralleli, invece di rafforzare il controllo, creano ambiguità e duplicazioni che complicano la gestione e aumentano il rischio di violazioni normative. Anche i protocolli aziendali, concepiti per standard internazionali, finiscono spesso per sovrapporsi ai Piani di Sicurezza e Coordinamento, una integrazione che può compromettere la coerenza e l’efficacia operativa, creando vulnerabilità che emergono in modo critico durante ispezioni o incidenti. Inoltre, il principio di effettività, cardine della normativa italiana, impone che la responsabilità ricada non solo su chi ha un incarico formale, ma anche su chi esercita poteri direttivi di fatto. Di conseguenza, queste figure aziendali, non ufficialmente riconosciute dalla normativa, possono essere chiamate a rispondere penalmente, solo per il fatto di essere un ulteriore livello (spurio) di controllo.
Affrontare la gestione dei cantieri in Italia richiede un approccio basato sulla conoscenza della normativa, sulla definizione precisa di ruoli e responsabilità e sull’integrazione dei protocolli aziendali con quelli previsti dalla legge.
Il ruolo del PSC e i limiti dei protocolli aziendali
Il PSC è lo strumento centrale per garantire la sicurezza nei cantieri italiani: definisce i rischi, le misure di prevenzione e le responsabilità operative. È un documento progettato per adattarsi alle specificità del cantiere e del contesto normativo locale, fornendo indicazioni chiare e vincolanti. Le Corporate policies, elaborate secondo standard internazionali, spesso introducono procedure parallele che non si integrano con il PSC, generando potenziali problemi: l’applicazione di protocolli aziendali non integrati, infatti, può creare vulnerabilità operative. Sia nella gestione ordinaria dei lavori come in caso di ispezioni, le incongruenze tra i documenti possono sollevare dubbi sulla gestione della sicurezza, mentre in caso di incidenti possono emergere responsabilità multiple e contraddittorie.
L’adozione di procedure aziendali parallele, infatti, rischia di svuotare il PSC della sua funzione centrale di coordinamento e controllo del cantiere, lasciandolo privo della capacità effettiva di governare le attività e di garantire il rispetto delle misure di sicurezza. In condizioni ordinarie, questa frammentazione può tradursi nella difficoltà nell’identificare i soggetti a cui “dar retta”; in caso di infortunio semplicemente fa aumentare il numero delle persone indagate e imputate in procedimenti penali.
Integrare i protocolli aziendali nei PSC non è soltanto un’opzione consigliabile, ma un passaggio necessario per evitare criticità operative e legali. Armonizzare i protocolli aziendali con il PSC non significa rinunciare agli standard globali, ma assicurarsi che questi siano pienamente compatibili con le disposizioni locali, rafforzando la coerenza delle procedure e garantendo un controllo più efficace sul cantiere.
Un problema comune nei cantieri internazionali è l’introduzione di figure parallele ai ruoli previsti dalla normativa italiana. In particolare, il CSE ha compiti ben definiti, che includono il coordinamento delle attività e la verifica delle misure di sicurezza. Tuttavia, le aziende spesso aggiungono consulenti o responsabili con mansioni simili, creando confusione e ambiguità. Tutto questo senza avere regolamentato a fondo l’interfaccia di questi ruoli con quelli previsti dalla legge, avendo considerato che la normativa italiana si basa sul principio di effettività, secondo cui chi esercita poteri direttivi, anche senza un incarico formale, può essere ritenuto responsabile in caso di violazioni. Un principio che rende particolarmente rischiosa la creazione di figure non riconosciute dalla legge, che potrebbero trovarsi coinvolte in procedimenti penali per omissioni o negligenze.
Di frequente, queste posizioni vengono proposte a liberi professionisti lavoratori autonomi, pur imponendo orari fissi o la presenza continua in cantiere, senza tener conto che il contratto d’opera non ammette alcuna forma di subordinazione. Se, di fatto, questo tecnico è soggetto a vincoli gerarchici o turni prestabiliti, il contratto potrebbe di essere annullato, su sua richiesta o degli organismi di controllo, e trasformato in un rapporto subordinato, con conseguenze legali ed economiche rilevanti per il cliente/datore di lavoro. Inoltre, un utilizzo improprio del contratto d’opera potrebbe configurarsi come elusione degli obblighi previdenziali: per un professionista iscritto a Inarcassa, i contributi ammontano a circa il 14% del reddito professionale netto e al 4% del fatturato lordo, mentre, per un lavoratore dipendente, l’aliquota totale si avvicina al 33% della retribuzione annua lorda.
Infine, un ulteriore rischio è legato alla norma sulla Responsabilità Amministrativa degli Enti, definita dal D.Lgs. 231 del 2001, che prevede pesanti sanzioni amministrative a carico delle aziende, per incidenti sul lavoro, postulando un vantaggio economico nei comportamenti che si sono rivelati violazione delle norme. Non sia mai che questo tipo di organizzazione, la presenza di ruoli non integrati o di procedure incoerenti, possa essere interpretata come una gestione superficiale della sicurezza, aggravando la posizione dell’azienda.
Integrare, semplificare e adattare
Una policy che impone il rispetto delle regole funziona solo se c’è, innanzitutto, un’effettiva conoscenza di quelle stesse regole e, subito dopo, la volontà di applicarle in modo concreto. Evitare la creazione di figure parallele e chiarire compiti, poteri e limiti operativi di ogni incarico aiuta a ridurre ambiguità e conflitti, rendendo la catena di comando più solida. Allo stesso tempo, è fondamentale che i rapporti con i lavoratori autonomi siano in linea con la normativa italiana, per scongiurare la subordinazione mascherata. In quest’ottica, l’integrazione dei protocolli aziendali nel PSC diventa uno strumento prezioso per eliminare duplicazioni, definire con precisione i ruoli e garantire un’organizzazione più efficace delle procedure.
Adottare un approccio basato sulla conoscenza delle leggi locali e sull’adeguamento dei propri modelli organizzativi consente di costruire cantieri più sicuri, di evitare sanzioni e di valorizzare la credibilità dell’azienda. Questo non implica un appesantimento delle procedure, ma un rafforzamento dell’organizzazione e una riduzione dei rischi, sia operativi che legali.
La Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD), entrata in vigore il 25 luglio 2024, obbliga le grandi aziende dell’UE a gestire i rischi di sostenibilità lungo le catene di valore globali. Questo quadro normativo mira a prevenire impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente, armonizzando le normative tra gli Stati membri per evitare frammentazioni legislative.
Basata su linee guida internazionali come quelle dell’OCSE, la direttiva promuove la trasparenza, responsabilizzando le imprese nella rendicontazione delle loro attività. Le PMI non sono soggette direttamente, ma subiscono effetti indiretti, dovendo rispettare standard imposti dai partner più grandi. La direttiva include misure di controllo, sanzioni e responsabilità civile per garantire conformità ed equità. Gli Stati membri dovranno recepire la norma nei prossimi due anni, istituendo meccanismi di supporto e monitoraggio adeguati.
Leggi l’articolo Come la CSDDD ridefinisce la responsabilità aziendale e le pratiche di sostenibilità in Italiasul numero 12/2024 di ISL.