Il termine ESG è stato utilizzato per la prima volta come acronimo di Environmental, Social and Governance, alla conferenza promossa dal UN Global Compact, il patto mondiale delle Nazioni Unite Investing for Long-Term Value, investire per valore a lungo termine, a Zurigo, in Svizzera, nell’agosto del 2005.
L’alba del XXI secolo sembra riprendere temi che erano già stati affrontati un secolo prima. Il mondo però presenta anche grandi differenze. Innanzitutto, la crisi ecologica che stiamo vivendo: oggi solo chi non vuole vedere l’evidenza può negare i sintomi del cambiamento climatico che ci circondano. Il mondo in cui siamo nati e cresciuti sembra essere veramente a rischio e un cambiamento di paradigma nel nostro modo di vivere non è più una questione di ideologia, ma probabilmente di sopravvivenza. L’approccio più esteso che il concetto di sostenibilità ha, rispetto alle questioni di carattere economico novecentesche potrebbe essere un fattore di successo: ambiente, società ed economia devono potersi sviluppare in un insieme armonico, per potere fare uscire dalla miseria la gran parte delle persone che non hanno la fortuna di vivere nel ricco Occidente, e non stagnare o, peggio, regredire, condannandole ad una breve vita di stenti, che sarebbe poi la conclusione della decrescita felice.
Nascendo dal mondo della finanza, la sostenibilità aziendale dà molta importanza alla rendicontazione delle prestazioni economiche e no. Col tempo si sono affermati standard che rendono possibile la comparazione dei risultati delle varie organizzazioni e i governi nazionali e sovranazionali hanno imposto obblighi di rendicontazione non finanziaria per le imprese. L’Unione Europea, che ha iniziato a definire criteri per la redazione dei bilanci alla fine degli anni Settanta, più recentemente, con la direttiva 2014/95/EU, ha stabilito un quadro normativo uniforme per le informazioni non finanziarie per gli Stati membri.
La sfida è quella di trasformare il luogo di lavoro nell’ambiente dove è incoraggiato lo sviluppo della personalità delle persone che lo vivono. Il manager HSE deve maturare quella particolare visione e competenza tecnica, che sia in grado di supportare la propria organizzazione nell’analisi dei processi lavorativi, necessari a introdurre i cambiamenti finalizzati al miglioramento del benessere dei propri lavoratori.
La prima volta che sono entrato in un tunnel per lavoro è stato tanti anni fa. L’azienda per cui lavoravo stava scavando una galleria idraulica in Calabria. Il tunnel era scavato in una roccia che credo fosse granodiorite: un minerale in cui la massa scura è lumeggiata da intrusioni di cristalli di plagioclasio e di quarzo. Sotto la luce artificiale, le pareti della caverna scintillavano come nella miniera dei sette nani.
Poi sono passato a lavorare alle prime gallerie della variante autostradale di valico: grandi tunnel che andavano oltre i tredici metri di diametro, che però facevano molta più paura. L’ammasso in cui venivano scavati non aveva la stessa nobiltà di quello del piccolo tunnel in Calabria, ma era poco più di fango scuro consolidato. La galleria era un buco nero, che assorbiva tutta la luce delle fotoelettriche e si lavorava sempre nella melma fino alle caviglie. Le scarse caratteristiche meccaniche del materiale attraversato rendevano poi necessario adottare tecniche estremamente cautelative nei lavori. Pensateci anche voi: scavare un buco nel fango è molto diverso che farlo nel granito. E diverso, quando ci devi mettere degli uomini dentro, significa pericoloso. Molto.
I sollevamenti sono tra le operazioni più comuni in cantiere. Non ci sono solo le gru, ma anche le autogrù, i muletti, i sollevatori telescopici. Si solleva per scaricare il camion che porta le attrezzature o i materiali, per issarli ai piani o per calarli negli scavi. Le operazioni con le gru attirano sempre gli sguardi: anche chi passeggia per strada e vede una gru di un cantiere alzare qualcosa, si ferma per guardare volare nell’aria un cassone, un gruppo elettrogeno. Spesso con la bocca aperta per la meraviglia, come un bambino.
La costruzione di una grande opera infrastrutturale implica che una valanga di denaro si riverserà sul territorio in cui si svilupperanno i cantieri. Tanto andrà alle grandi imprese esecutrici, che hanno sede magari in un’altra nazione. Ma tanti soldi verranno distribuiti nelle aree dei lavori: gli operai e i tecnici non solo devono essere ospitati e sfamati, ma cercheranno anche di replicare una certa vita sociale, incontrandosi dopo il lavoro, passando il loro tempo assieme. E spendendo denaro.
Faccio il consulente da qualche anno, dopo averne lavorati oltre venti in grandi aziende: imprese di costruzioni e società di ingegneria. Il mio lavoro è quello di aiutare le imprese che vogliono migliorare le loro prestazioni nella qualità, salute e sicurezza, ambiente e sostenibilità, ovunque esse siano.
Avere cura di chi cura è l’indovinato titolo della recente pubblicazione dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS), destinata sia ai governi che agli imprenditori del settore della salute.
This reflection occurs when it comes to organizing data collection. It can happen because a new project is starting, and a management system is adopted or revised. Still, it is also a question to be asked every time during the review phase when one wonders which innovation can adopt to improve the performance of a management system, even consolidated. In the experience of significant infrastructural works, especially abroad, it is normal for the client to analyze some OHS performance indicators when selecting the contractor and insert the contractual obligation to produce a report with specific content and, therefore, well-selected indicators. Furthermore, within contractors, it is expected that some indicators can be interesting for different services, each of which collects it or asks the operators to collect it according to their specifications, most of the time not coordinated with those of the others. This generates diseconomies and decreases the authority of the services towards the line, which interprets the lack of coordination as a sign of the neglect of those who request the data, evidently motivated by their lack of importance.
One of the side effects of globalization is that Anglo-Saxon fanaticism has permeated syntheses and acronyms. You can increasingly hear the term ” KPI” in business meetings: they are checked and analyzed and used as an excuse or witness for corporate decisions. Key Performance Indicators, the meaning of this acronym, are indicators used to measure process performance. The two key elements to identify KPIs are:
that the indicator is measurable;
that the process is such that it is possible to intervene in it so that the defined indicator shows a variation.
There is a third requirement, usually implicit, but this is the basis for all the work of defining, collecting, and processing KPIs: the organization must have the ability and the will to intervene. Finally, there is a corollary to these three requirements: the operation of collecting indicators must be perceived as necessary by the company, and its impromptu organization – the need to qualify with a customer – or disorganized – the same information requested in a repeated and, perhaps, slightly different manner from different departments that do not speak to each other – certainly does not contribute to reinforcing this positive perception.
Yes, but there are no standards regarding these operations. In Italy, we are firm on UNI 7249: 2007 Statistics of accidents at work, which defines the accident at work in various meanings and indicates the significant parameters and indicators that need to be updated to current trends. However, going abroad, while almost the whole world calculates the injury frequency index as the number of injuries per million hours worked, North America and other areas that refer to OSHA persist in calculating it as the number of injuries every 200,000 hours, and this is taken as a symbol of total Babel, also because neither the ISO 45001: 2018 standard for occupational health and safety management systems, nor the related standards, concretely address the issue of reporting.
This is not quite the case. There are international references, even very structured ones, which address and regulate this topic in an organic way, which would be suitable for our organizations to consider.
The Global Reporting Initiative
The Global Reporting Initiative is a non-profit organization born to help organizations, such as companies, governments, and NGOs, to communicate their impact on the economy, the environment, and society. Its goal is to create standards that are useful for reporting the sustainability performance of organizations of any type, size, and country. The GRI was recognized as an independent body in 2002, and the United Nations Environment Program (UNEP) shared its principles.
By now, there are no longer a few organizations that, usually once a year, publish their sustainability reports. For some, it is simply a commercial initiative, something that you cannot do without, on the pain of being degraded into the limbo of companies that are not trendy. After all, the industry created the first sustainability reports to cure the severe image problems in which the chemical industries found themselves in the 1980s. Most have developed these documents to demonstrate their commitment to sustainable development to internal and external stakeholders. Sustainability reports should be the ostensible part of how the organization behaves regarding the concept of sustainability, made public to demonstrate transparency of processes and accountability, improve its performance, increase its consideration of stakeholders, and attract customers and investors.
The desire to disseminate data relating to its activities, argues GRI, is an indication of a responsible organization which aims to be honest and transparent with its stakeholders because, through reporting, organizations can better manage their impact on people and the planet, and become a responsible, trustworthy organization in a more sustainable world. Therefore, the GRI standards are divided into two levels:
universal standards, relating to the foundations of their use, to general explanations, identifiable as series 100 (101, 102, 103) and the management approach, series 200 (from 201 to 206);
specific standards for certain topics, divided into the environment (from 301 to 308) and economy and society (from 401 to 419). The standard for worker health and safety reporting is 403.
La particolarità del sistema legale britannico è tale da considerare le persone giuridiche capaci di commettere crimini allo stesso modo delle persone fisiche, per cui, nel passato, si sono verificati casi di organizzazioni indagate per Corporate Manslaughter. Uno degli esempi di scuola è il caso dell’Herald of Free Enterprise, il traghetto the affondò all’uscita del porto di Zeebrugge in Belgio, nel marzo del 1987, uccidendo 193 persone tra passeggeri ed equipaggio, anche se il processo si concluse con un verdetto di assoluzione.
Il Corporate Manslaughter and Corporate Homicide Act, una legge che ha innovato il concetto di omicidio colposo commesso da una organizzazione nella giurisprudenza britannica, è stata approvata nel 2007 per avere, tra i vari motivi, uno strumento più adeguato per sanzionare questi crimini quando sono commessi nell’ambito di grandi organizzazioni, dal momento che i tecnicismi delle norme in vigore fino ad allora, avevano mostrato qualche limite, fondamentalmente nella necessità di individuare una persona fisica responsabile della condotta criminale, per potere punire l’organizzazione.
Puoi approfondire acquistando il volume D.Lgs. 231/01 e Corporate Criminal liability nel diritto inglese: Focus Sicurezza sul lavoro/Corporate manslaughter e Anticorruzione/bribary act scritto assieme a Fabrizio Salmi e Camilla Marzato.
Il documento “Foresight Study on the Circular Economy and its effects on Occupational Safety and Health”, “Studio di previsione sull’economia circolare e i suoi effetti sulla sicurezza e la salute sul lavoro” è un interessante pezzo a cavallo tra science fiction e manifesto politico. Gli scenari individuati per il 2040 variano da una età green del latte e del miele (The roaring 40s – fully circular and inclusive), alla descrizione di varie distopie, alcune più inquietanti delle altre.